Esperienze bresciane

La pubblicità sulle opportunità di coltivare i tartufi in modo redditizio  iniziò tra il 1970 ed il 1980 e raggiunse dimensioni tali, che molte persone, anche nel territorio bresciano, si dedicarono a questo tipo di coltivazione con la prospettiva di ottenere facili guadagni.

Nacquero tartufaie un poco ovunque, ma, passati alcuni anni, i coltivatori si resero conto che la tartuficoltura non era quella forma di coltivazione redditizia tanto decantata dai giornali: anche se le piante messe a dimora crescevano rigogliose, i risultati produttivi tardavano ad arrivare. In varie località del Bresciano, vennero fatti diversi impianti, alcuni di piccole dimensioni, altri che raggiunsero  la superficie di alcuni ettari.

Le piante, spesso, venivano acquistate presso vivaisti con pochi scrupoli, che rilasciavano fior di ricevute, con garanzie delle produzioni e del ritiro del prodotto. Ma il vero affare era nella vendita delle piante Passato poco tempo, alcuni di essi, i più scaltri, trovavano prudente rendersi irreperibili. Ma anche quando le piante erano acquistate presso vivai seri, dove la micorrizazione era garantita, ma  frequentemente, solo poche piante  entravano in produzione.

Qui i motivi  degli insuccessi non potevano essere attribuiti alle piante micorrizate, ma alla leggerezza con cui veniva intrapresa la coltivazione,  spesso dettata  dalla  cattiva informazione fornita ai coltivatori che  realizzavano   impianti in condizioni ecologiche  ed ambientali non idonee.  A volte le piante venivano piantate nelle vicinanze di boschi; oppure venivano realizzate tartufaie, mettendo a dimora piante micorrizate con specie di Tuber le cui esigenze ecologiche erano incompatibili con  quelle esistenti in quel dato territorio.

Un impulso importante arrivò nel 1990, quando l’allora presidente della Comunità Montana Parco Alto Garda, Marco Roncetti, sensibile a tale problematica e grande estimatore del tartufo, incaricò V. Vezzola ad effettuare delle ricerche nel comprensorio, per stabilire le specie di Tuber presenti nel territorio, la loro distribuzione, le altitudini alle quali venivano raccolti e la loro esposizione al sole. In sintesi, veniva presa in esame l’ecologia delle varie specie. Questo lavoro, effettuato con la collaborazione di alcuni tartufai, ebbe la durata di quattro anni. Furono mappate oltre un migliaio di stazioni (poi integrate con altre individuate successivamente) e censite 12 specie di Tuber, più due forme: Tuber melanosporum, Tuber brumale, Tuber brumale forma moschatum, Tuber aestivum, Tuber aestivum forma uncinatum, Tuber mesentericum, Tuber macrosporum, Tuber borchii, Tuber nitidum, Tuber ferrugineum, Tuber rufum, Tuber excavatum, Tuber exacatum forma monticellianum, Tuber fulgen, oltre ad alcune specie di funghi ipogei, come il Paradoxa  monospora Matt. ed il Choiromyces  meandriformis.

Con i dati raccolti, vennero preparate delle mappe con indicati i terreni a vocazione tartufigena.Tale lavoro venne successivamente presentato in un convegno svoltosi a Gargnano, il 12 marzo del 1994, con la presenza di relatori della Regione Veneto e del C.N.R. di Torino, tra cui la Prof.ssa Anna Fontana, ricercatrice di fama internazionale, dotata di grande sensibilità.

Negli anni successivi, un lavoro simile fu svolto anche per l’Associazione dei Comuni della Valtenesi e per la Comunità Montana Valle Sabbia. Al  Convegno erano presenti, Alessandra Zambonelli dell’Università di Bologna e Gianluigi Gregori del Centro Sperimentale di Tartuficoltura di S. Angelo in Vado. In questa occasione, oltre alle specie già conosciute, ne furono presentate altre non ancora censite, ma individuate e raccolte solo in Valle Sabbia, e precisamente: il Tuber magnatum e il Tuber lucidum Bonnét.